Introduzione alla meditazione Sumarah, Laura Romano

Sumarah è una filosofia di vita e una forma di meditazione originaria di Giava. 
La pratica si basa sullo sviluppo della recettività e dell'accettazione attraverso il rilassamento profondo di corpo, cuore e mente. Lo scopo è quello di creare dentro di noi lo spazio e il silenzio necessario affinché il vero sé si manifesti e ci parli. 
Sumarah significa abbandono totale, resa incondizionata; è l'abbandono dell'io parziale per il Sé universale. La resa incondizionata è alla Vita. 
Sumarah è una forma di meditazione basata sull'accettazione di ciò che è. Nella pratica Sumarah si parte dal concetto della nostra umanità, nella consapevolezza che l'impegno è necessario, ma lo sforzo eccessivo spesso non è che un'altra faccia dell'ambizione del nostro ego. Nella meditazione Sumarah non ci sono regole precise e fisse, come un modo particolare di respirare, una tecnica per aiutare la concentrazione, una posizione da tenere durante la pratica. 
Secondo Sumarah, poiché la vita è perenne movimento e la realtà cambia di continuo, non abbiamo in realtà altra scelta se non quella di imparare a rispettare la nostra condizione momento per momento, accettando ciò che è e nello stesso tempo non sviluppando eccesivo attaccamento. Sumarah non offre soluzioni, non promette salvezza, non garantisce successo. Semplicemente essa può essere un mezzo, un aiuto, una luce o anche solo uno spazio di riposo. 

La meditazione Sumarah, lungi dall'essere una scelta di separazione dalla realtà, è principalmente un modo, uno strumento di vita, per la vita e nella vita e non un fine in se stessa. Il mezzo ci serve per arrivare in un posto; una volta arrivati dobbiamo lasciarlo andare. Come disse una volta un maestro indiano a un suo discepolo: "Tu sei arrivato dall'Europa in aereo, poi hai preso un treno e infine un taxi. Ora sei qui e hai lasciato l'aereo all'aeroporto, il treno alla stazione e il taxi per la strada...o no?"
 
 
La pratica Sumarah non consiglia di isolarsi o evitare le 'cose del mondo' come ostacoli per lo spirito e come fuorvianti nemici della pratica. Al contrario essa insegna ad accettare la vita nella sua totalità, immergendosi in essa nel bene e nel male. 
I giavanesi definiscono la vita come "niente di più che una sosta sul cammino per bere un bicchiere di tè". La meditazione è uno strumento prezioso per aiutarci a fermarci e a ricordare che si tratta solo di una sosta e solo di un bicchiere di tè. 
In sintesi, secondo Sumarah, la meditazione è uno strumento per camminare nel mondo e attraversare la vita nel migliore modo possibile. 
Ecco perché Sumarah ama usare l'espressione tapa ramai, il 'ritiro chiassoso', un modo di imparare a praticare la pace nel bel mezzo del campo di battaglia e il silenzio nel chiasso. 
 
Nella pratica Sumarah si dà molta importanza all'essere nel mondo e all'esserci con la consapevolezza del proprio ruolo, della propria missione. Il privilegio di essere in questo mondo come esseri umani ha insito in sé anche la responsabilità di utilizzare questo tempo nel miglior modo possibile. L'apparente paradosso, comune alla maggior parte delle pratiche spirituali, di dovere imparare nello stesso tempo ad accettare ciò che è e a impegnarsi per il cambiamento è parte integrante anche dell'insegnamento Sumarah. In particolare l'idea dell'accettazione è basilare nella filosofia giavanese. Essa non è considerata, come quasi sempre succede nella cultura occidentale, un segno di passiva rassegnazione alla sorte, una sconfitta delle proprie capacità, bensì è vista come un indice di profonda saggezza, come la scelta matura di chi ha intuito il senso del Tutto. 
 
La pratica Sumarah si divide in due momenti connessi, ma distinti, entrambi fondamentali: quello della meditazione 'speciale' e quello della meditazione 'quotidiana'. 
La meditazione 'speciale' è così chiamata in contrapposizione alla 'normalità' del quotidiano. E' il momento speciale in cui ci sediamo per rilassarci e aprirci a ricevere la guida; è un'opportunità per praticare a lasciare andare le tensioni fisiche, emotive e mentali; è un momento di riposo totale per il corpo e un esercizio per diventare consapevoli dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni; un'occasione per lasciare andare quei concetti a cui sempre facciamo riferimento e che troppo spesso sono un ostacolo alla manifestazione del nostro vero sé. In Sumarah non vi sono regole precise per la meditazione 'speciale'. Anche se è considerata una buona disciplina dedicarvi un po' di tempo sia il mattino appena svegli, che la sera prima dell'imbrunire, è lasciato alla scelta individuale quanto e quando meditare; è tuttavia considerato importante imparare a riconoscere, durante la giornata, quei momenti in cui uno sente che è giusto per fermarsi e sedersi a meditare. 
La meditazione 'speciale' oltre che individuale può anche essere di gruppo. Solitamente vi è una sola persona che funge da guida (pamong), ma vi sono anche gruppi dove la guida viene fatta passare a turno tra i diversi partecipanti. In generale la meditazione 'speciale' è più facile e più intensa in gruppo che da soli. Ogni meditazione 'speciale' avrà la sua durata, la sua qualità e il suo sapore particolari. 
 
La meditazione 'quotidiana' è invece la capacità di mantenere, durante le varie attività della giornata, lo stato di rilassamento e di consapevolezza raggiunto nella meditazione speciale imparando così a vedere la straordinarietà dei momenti normali e la normalità dei momenti straordinari. Solitamente tra l'una e l'altra meditazione esiste un vero e proprio baratro che inizialmente può sembrare incolmabile. Diventarne consapevoli e imparare a ridurlo è il senso della pratica. 
Un giorno una ragazza che già da parecchi anni praticava altri tipi di meditazione e che era da poco arrivata dall'India, chiese al pamong: "Durante la pratica della meditazione siamo solitamente seduti in un luogo tranquillo, insieme a persone con idee e intenzioni simili alle nostre. L'atmosfera è favorevole e il più delle volte è presente un maestro o una guida più matura e più avanti nella pratica. Tutto questo mi sembra che agevoli il raggiungimento della concentrazione, del rilassamento, della pace interiore. Come è possibile che una condizione simile si verifichi in un luogo rumoroso e caotico, in mezzo a persone che competono tra loro o in una atmosfera inquinata sia fisicamente che psichicamente?" 
 
La risposta fu un'antica massima giavanese: "Se cerchi la luce vai nel buio". Praticare nella pace e nel silenzio, tra persone amiche e in un ambiente favorevole è senz'altro buono e anche necessario, soprattutto all'inizio. In un tale tipo di pratica sono però insiti due pericoli: quello di usare la meditazione come strumento di fuga dalla realtà ogni qualvolta quest'ultima non ci piaccia e quello di affezionarsi a uno stato interiore che può facilmente degenerare nell'autocompiacimento. Al contrario, praticare là dove (apparentemente) non vi è luce, in condizioni sfavorevoli e difficili, è un ottimo allenamento perché dopo un po' che si è al buio si comincia a vedere e ad apprezzare la piccola luce. Ciò che è buono per l'ego di solito è male per l'anima e viceversa. 
Infine impariamo a non stupirci del fatto che la meditazione non è sempre un'esperienza piacevole. E' infatti un luogo comune pensare che 'essere in meditazione' equivalga a essere in pace con se stessi e col mondo, quando non addirittura in uno stato di perfetta beatitudine. Questo a volte può anche avvenire, ma il più delle volte la meditazione Sumarah è un processo di pulizia e di riconoscimento delle parti più nascoste di noi stessi. 
 
Secondo Sumarah, 'essere in meditazione' significa prima di tutto essere in uno stato di elevata consapevolezza; significa essersi rilassati, fisicamente, emotivamente e mentalmente e avere eliminato o comunque ridotto al minimo gli ostacoli che solitamente si frappongono tra noi e la limitata visione che abbiamo di noi stessi e della realtà circostante. 
Vedere la realtà non è sempre piacevole. Tuttavia 'vedere' è consapevolezza. 
Quando ci sediamo a meditare il più delle volte siamo pieni di aspettative, carichi di desideri e di speranze e già questo da solo ci impedisce un vero rilassamento. Facciamo fatica a liberarci dall'ambizione di riuscire a essere dei bravi meditanti e a rinunciare a utilizzare la nostra forza di volontà. La maggioranza di noi è stata educata a considerare ambizione e volontà come condizioni necessarie per la riuscita. Molto presto ci accorgiamo che questo nella pratica spirituale non funziona affatto. 
Il primo passo è quello di ammettere, di riconoscere la nostra condizione e in ciò la qualità più importante è l'onestà. Spesso la verità ci prende alla sprovvista; spesso ci appaiono ombre che non sapevamo neppure esistessero. 
 
Una posizione di totale abbandono e non resistenza, uno stato di rilassamento profondo, di distacco e insieme attenzione sono i requisiti indispensabili sia per la meditazione 'speciale', sia per quella 'quotidiana'. 
Non è facile descrivere cosa realmente avvenga in una seduta di meditazione, come ben sa chiunque abbia una pratica in questo senso. Infatti, anche se l'energia è una e la guida è una, esse vengono sperimentate in modo diverso da ciascuno, a seconda dei bisogni e dell'evoluzione individuali. Le sedute di meditazione Sumarah possono essere molto diverse le une dalle altre e soprattutto non sono mai quello che ci si aspetta. Al contrario, gli avvenimenti salienti, i momenti importanti sembrano invariabilmente prenderci di sorpresa. 


Forse il modo migliore per dare un'idea di come si svolga una seduta di meditazione Sumarah, è raccontarne una. Quanto segue è tratto dal diario di Laura.
 
"Pak Wondo [il pamong] stasera era in uno di quei suoi umori di fuoco che, devo ammetterlo, mi piacciono moltissimo. La meditazione è iniziata quasi subito senza troppi convenevoli. Dopo circa cinque minuti dall'inizio ho pensato che era davvero un peccato che non avessi con me il registratore. Mezzo minuto dopo Pak Wondo commentava: "Questa seduta avrebbe dovuto essere registrata." 
Dopo di che questo è approssimativamente ciò che ha detto: 
"Qui ciò che conta non è la teoria, ma la pratica. Ma attenzione, pratica non vuole dire solo le azioni esteriori. La contemplazione e l'introspezione riguardano anche le azioni interiori, ossia ciò che non si vede solo perché non lo si esprime. Morire non è una questione teorica, ma qualcosa di molto pratico... Allah ... Allah ... Allah... 
Spesso chi pratica meditazione fa ancora l'errore di usare la meditazione per risolvere ciò che non va bene nella propria vita, ciò che non piace, ciò che disturba. La meditazione invece, è uno strumento prima di tutto per smantellare, per aprire, svelare. Questo crea spazio, porta aria fresca, pulizia e gradualmente realizza la purificazione. Affinché ciò avvenga, da parte nostra è solo necessario ammettere quello che non va. Noi lo sappiamo, in verità lo sappiamo sempre. Bisogna avere il coraggio della confessione e in ciò la cosa fondamentale è l'onestà. 
Allah ... Allah. 
Tutto ciò che noi facciamo lo possiamo fare solo perché ci è data la Vita. Un corpo senza Vita è un cadavere, la Vita senza un corpo è spirito. 
Allah... Allah ... Allah 
In Sumarah non vi è alcun libro sacro. Il nostro libro sacro è la Vita, eppure noi ancora troppo spesso è proprio della Vita che ci dimentichiamo. 
[Lungo silenzio] 
 
Noi dimentichiamo, ecco perché la pratica è quella del ricordare (eling). Vi sono diversi livelli del ricordare: il ricordo ultimo è il ricordo puro, ossia il ricordarsi della Vita. La Fonte è in noi, noi la conosciamo, ma l'abbiamo persa di vista. Abbiamo l'abitudine di ringraziare la sorte (o Dio) quando ci viene dato qualcosa di secondario come fama, fortuna, ricchezza, una famiglia e dimentichiamo il dono principale che ci viene continuamente dato con la Vita. 
Allah ... Allah ... Allah. 
E' importante arrivare a sentire e sperimentare la Vita pura. 
Allah ... Allah ... Allah. 
Questo ci aiuta a ricordare. Noi dimentichiamo molto. Per esempio dimentichiamo di chiedere scusa ai nostri stessi 'strumenti'. A volte ricordiamo di chiedere scusa a un amico, a qualcuno della famiglia, a Dio, ma mai a noi stessi. Perfino quello dimentichiamo: noi stessi e anche questo succede perché dimentichiamo la vita. Parliamo spesso delle cose della vita, dei nostri problemi, del lavoro, delle relazioni, della nostra salute, parliamo del nostro ego, ma mai del nostro vero sé. Il sé puro fa parte della grande Vita. Noi ce ne dimentichiamo di continuo. 
 
La contemplazione è molto importante. Io -Wondo- sempre medito e contemplo su ciò che è mancante in me. Avvolgo il mio essere nella meditazione come in una coperta. Questo, sapete, dà gioia. Anche il ricordarsi dell'essenza della Vita dà gioia. La morte non è una questione teorica. Mi ricordo la morte di mio suocero come molto bella, senza sorpresa, senza sussulti, lenta e graduale. Uscì dal suo corpo dolcemente, a poco a poco, perché non aveva mai smesso di ricordare. 
La pratica Sumarah non è quella di chiudere gli occhi, ma di cercare nel piccolo, per poi trovarvi il grande. Questo è il rapporto tra microcosmo e macrocosmo. 
[Lungo Silenzio]. 
Può bastare. Grazie. Rispettate i vostri tempi e cercate di non troncare il processo, ma di ritornare alla meditazione quotidiana gradualmente, mantenendo questo stato interiore. 
Rahayu...rahayu...rahayu.

(Laura Romano "Sumarah - il risveglio del maestro interiore" Ubaldini 1999 pp 22-24)